(tratto da "Il Vangelo secondo la Scienza" di Piergiorgio Odifreddi - 1999 Einaudi)
...interessanti considerazioni riguardo al legame fra clima e religione che si basano sull'osservazione di relazioni non casuali tra monoteismo e deserto mediorientale, buddhismo e giungla tropicale, induismo e montagne himalayane. ...
Nel deserto niente si trova gratuitamente o naturalmente e tutto ciò che occorre al sostentamento deve essere imposto ed estorto alla natura e continuamente mantenuto disponibile. in un simile ambiente, niente di ciò che serve all'uomo risulta avere un'origine indipendente ed autonoma, e tutto appare invece essere il frutto di una scelta consapevole, di un progetto preciso, di un atto di volontà determinato. L'idea di un creatore, che pone in essere e conserva la materia per propria scelta e per i propri scopi, sembra essere la naturale generalizzazione all'intero universo di una tale visione del mondo. ...
Ai tropici, invece i bisogni della vita sono soddisfatti ancora prima di essere formulati: le stagioni si avvicendano violentemente e la vegetazione esplode in un ciclo continuo. In tali condizioni, in cui nessun intervento diretto sulla natura è richiesto, perché essa dispensa i suoi doni autonomamente, senza che l'uomo debba piegarla alle proprie esigenze attraverso un'azione cosciente, l'idea di un creatore non solo non è necessaria ma è fuori luogo.
Semmai può nascere per generazione spontanea un pantheon popolato di migliaia di dei, come nell'Induismo dell'India del Sud. o in concetto di divinità può non trovare terreno fertile per la propria crescita e l'uomo può dedicarsi al miglioramento del proprio spirito in maniera puramente ateistica, come nel Buddhismo hinayana dello Sri Lanka, della Birmania e della Thailandia. ...
L'atrofia vegetativa del deserto impone un'integrazione animale della dieta e genera una morale che permette l'uccisione degli animali per il proprio sostentamento. ... Naturalmente un'etica che giustifichi la morte altrui quand'essa sia necessaria per la propria vita non tarda a degenerare in ideologie di potenza e di guerra, che si sono storicamente coniugate ai monoteismi attraverso i secoli, dalle crociate cristiane alle jihad islamiche. ...
La natura ai tropici invece è sufficientemente generosa da permettere e stimolare diete vegetariane, oltre al concomitante sviluppo di una dottrina globale della non violenza e del pacifismo, che sono storicamente divenute parti integranti dell’Induismo e del Budhhismo e continuano ad esserlo negli insegnamenti di Gandhi e del Dalai Lama.
Inoltre il rigoglioso e automatico processo vegetativo della giungla genera l'immagine di un mondo di forme in continuo divenire... La natura si presenta priva di ogni forma di permanenza e genera l'impressione di una fragile istantaneità del presente, che si concretizza nella dottrina del maya induista e del samsara buddista, secondo cui il mondo delle apparenze quotidiane non è che illusione. La percezione della vita come un flusso di trasformazioni, perenne e inarrestabile, porta automaticamente all'idea di reincarnazione.
L'uomo del deserto, condannato a vivere in un inferno, sogna di arrivare un giorno in un paradiso, nel quale egli possa avere gratuitamente e perennemente ciò che sulla terra gli costa fatica ottenere. Su questa tera, egli aspira almeno a un momento di respiro, che si concretizza nel giorno del riposo delle religioni monoteistiche: il venerdì islamico, il sabato ebraico, la domenica cristiana.
L'uomo dei tropici invece vive già nel paradiso e la reincarnazione lo condanna a rimanerci: l'unica sua speranza di liberazione può dunque essere l'uscita dal gioco, quel nirvana che non è appunto altro che lo svincolamento dal ciclo delle nascite e delle morti.
Una terza condizione climatica estrema è la montagna himalayana, ai piedi dei cui ghiacci è sbocciato l'induismo e sono fioriti i poemi sacri dei Veda e delle Upanishad, ed è ambientata l'epopea del Mahabharata.
La montagna, quale luogo di avvicinamento al cielo, è per sua natura un potente simbolo di innalzamento spirituale e le religioni di ogni tempo se ne sono appropriate santificando le vette che avevano a disposizione: il Sinai, l'Olimpo, il Golgota, il Taishan che però appaiono come colline rispetto alle cime sacre del monte Kailash o del Nanda Devi, rispettivamente dimora degli dei e oggettivizzazione di Parvati, moglie di Shiva.
La caratteristica più evidente dell'ambiente himalayano è l'ipertrofia: delle sue cime, dei suoi fiumi che partorisce, dei suoi ghiacciai che custodisce. Esso non può dunque che amplificare la coscienza in maniera eccessiva e provocare immagini e pensieri smisurati di cui un esempio tipico è l'estensione del Mahabharata: 3 volte la Bibbia e sette volte l'Iliade più l'Odissea.
Dal un punto di vista spirituale l'esagerazione si concretizza nel modello di vita meditativo dei rishi che trovano nelle grotte himalayane l'ambiente consono ai loro sperimenti di ascesi globale e distacco totale. I sette rishi storici, associati alle sette stelle dell'Orsa Maggiore e alle sette parti dei Veda, stabilirono lo standard di una vita completamente dedita alla contemplazione, e formalizzarono la visione di una coincidenza assoluta fra la mente individuale e quella universale, e la prevalenza del dato psichico e soggettivo su quello materiale e oggettivo. Il loro esempio ha ispirato in India diverse varianti, dai sadhu agli yogin, dai mahatmaai sannyasin.
Le formulazioni originarie delle grandi religioni, in quanto riflessi di situazioni geografiche estreme ed eccessive, possedevano ed esibivano una dimensione eroica che si è smussata e dissolta nel passaggio ai climi temperati.
Le uniche grandi religioni già temperate all'origine sono il taoismo e il confucianesimo, nate in Cina verso il VI secolo a.C. Non sorprende il fatto che esse siano immuni da eccessi ritualistici e dottrinali e si presentano come sistemi più etici che religiosi.
...interessanti considerazioni riguardo al legame fra clima e religione che si basano sull'osservazione di relazioni non casuali tra monoteismo e deserto mediorientale, buddhismo e giungla tropicale, induismo e montagne himalayane. ...
Nel deserto niente si trova gratuitamente o naturalmente e tutto ciò che occorre al sostentamento deve essere imposto ed estorto alla natura e continuamente mantenuto disponibile. in un simile ambiente, niente di ciò che serve all'uomo risulta avere un'origine indipendente ed autonoma, e tutto appare invece essere il frutto di una scelta consapevole, di un progetto preciso, di un atto di volontà determinato. L'idea di un creatore, che pone in essere e conserva la materia per propria scelta e per i propri scopi, sembra essere la naturale generalizzazione all'intero universo di una tale visione del mondo. ...
Ai tropici, invece i bisogni della vita sono soddisfatti ancora prima di essere formulati: le stagioni si avvicendano violentemente e la vegetazione esplode in un ciclo continuo. In tali condizioni, in cui nessun intervento diretto sulla natura è richiesto, perché essa dispensa i suoi doni autonomamente, senza che l'uomo debba piegarla alle proprie esigenze attraverso un'azione cosciente, l'idea di un creatore non solo non è necessaria ma è fuori luogo.
Semmai può nascere per generazione spontanea un pantheon popolato di migliaia di dei, come nell'Induismo dell'India del Sud. o in concetto di divinità può non trovare terreno fertile per la propria crescita e l'uomo può dedicarsi al miglioramento del proprio spirito in maniera puramente ateistica, come nel Buddhismo hinayana dello Sri Lanka, della Birmania e della Thailandia. ...
L'atrofia vegetativa del deserto impone un'integrazione animale della dieta e genera una morale che permette l'uccisione degli animali per il proprio sostentamento. ... Naturalmente un'etica che giustifichi la morte altrui quand'essa sia necessaria per la propria vita non tarda a degenerare in ideologie di potenza e di guerra, che si sono storicamente coniugate ai monoteismi attraverso i secoli, dalle crociate cristiane alle jihad islamiche. ...
La natura ai tropici invece è sufficientemente generosa da permettere e stimolare diete vegetariane, oltre al concomitante sviluppo di una dottrina globale della non violenza e del pacifismo, che sono storicamente divenute parti integranti dell’Induismo e del Budhhismo e continuano ad esserlo negli insegnamenti di Gandhi e del Dalai Lama.
Inoltre il rigoglioso e automatico processo vegetativo della giungla genera l'immagine di un mondo di forme in continuo divenire... La natura si presenta priva di ogni forma di permanenza e genera l'impressione di una fragile istantaneità del presente, che si concretizza nella dottrina del maya induista e del samsara buddista, secondo cui il mondo delle apparenze quotidiane non è che illusione. La percezione della vita come un flusso di trasformazioni, perenne e inarrestabile, porta automaticamente all'idea di reincarnazione.
L'uomo del deserto, condannato a vivere in un inferno, sogna di arrivare un giorno in un paradiso, nel quale egli possa avere gratuitamente e perennemente ciò che sulla terra gli costa fatica ottenere. Su questa tera, egli aspira almeno a un momento di respiro, che si concretizza nel giorno del riposo delle religioni monoteistiche: il venerdì islamico, il sabato ebraico, la domenica cristiana.
L'uomo dei tropici invece vive già nel paradiso e la reincarnazione lo condanna a rimanerci: l'unica sua speranza di liberazione può dunque essere l'uscita dal gioco, quel nirvana che non è appunto altro che lo svincolamento dal ciclo delle nascite e delle morti.
Una terza condizione climatica estrema è la montagna himalayana, ai piedi dei cui ghiacci è sbocciato l'induismo e sono fioriti i poemi sacri dei Veda e delle Upanishad, ed è ambientata l'epopea del Mahabharata.
La montagna, quale luogo di avvicinamento al cielo, è per sua natura un potente simbolo di innalzamento spirituale e le religioni di ogni tempo se ne sono appropriate santificando le vette che avevano a disposizione: il Sinai, l'Olimpo, il Golgota, il Taishan che però appaiono come colline rispetto alle cime sacre del monte Kailash o del Nanda Devi, rispettivamente dimora degli dei e oggettivizzazione di Parvati, moglie di Shiva.
La caratteristica più evidente dell'ambiente himalayano è l'ipertrofia: delle sue cime, dei suoi fiumi che partorisce, dei suoi ghiacciai che custodisce. Esso non può dunque che amplificare la coscienza in maniera eccessiva e provocare immagini e pensieri smisurati di cui un esempio tipico è l'estensione del Mahabharata: 3 volte la Bibbia e sette volte l'Iliade più l'Odissea.
Dal un punto di vista spirituale l'esagerazione si concretizza nel modello di vita meditativo dei rishi che trovano nelle grotte himalayane l'ambiente consono ai loro sperimenti di ascesi globale e distacco totale. I sette rishi storici, associati alle sette stelle dell'Orsa Maggiore e alle sette parti dei Veda, stabilirono lo standard di una vita completamente dedita alla contemplazione, e formalizzarono la visione di una coincidenza assoluta fra la mente individuale e quella universale, e la prevalenza del dato psichico e soggettivo su quello materiale e oggettivo. Il loro esempio ha ispirato in India diverse varianti, dai sadhu agli yogin, dai mahatmaai sannyasin.
Le formulazioni originarie delle grandi religioni, in quanto riflessi di situazioni geografiche estreme ed eccessive, possedevano ed esibivano una dimensione eroica che si è smussata e dissolta nel passaggio ai climi temperati.
Le uniche grandi religioni già temperate all'origine sono il taoismo e il confucianesimo, nate in Cina verso il VI secolo a.C. Non sorprende il fatto che esse siano immuni da eccessi ritualistici e dottrinali e si presentano come sistemi più etici che religiosi.