ALEXIS o il trattato della lotta vana
Amica mia, siamo ben strani. Per la prima volta provavo il piacere perverso di essere differente dagli altri; è difficile non credersi superiori quando si soffre di più, e la visione della gente felice ci dà la nausea della felicità.
Non è difficile nutrire pensieri ammirevoli quando ci sono le stelle. Più difficile è conservarli intatti nella meschinità di ogni giorno; più difficile è essere dinanzi agli altri quel che siamo davanti a Dio.
D'altra parte un sogno amica mia, non è una speranza; ci si contenta; lo si trova persino più dolce quando lo si crede impossibile, perchè allora non si ha l'inquietudine di viverlo un giorno.
Mi piace che il tempo torni ci porti, non che ci trascini.
La vita degli altri sembra sempre più facile perchè non la viviamo
Amica mia, a torto noi crediamo che la vita ci trasformi: essa ci consuma, e in noi consuma quel che vi era di acquisito. Io non ero cambiato; soltanto gli avvenimenti si erano interposti tra me e la mia vita stessa; io ero ciò che ero stato, forse un po' più profondamente di un tempo; perchè via via che crollano una dopo l'altra le illusioni e le credenze noi conosciamo meglio il nostro vero essere. Tanti sforzi e tanta buona volontà si concludevano nel ritrovarmi esattamente com'ero un tempo.
La sofferenza ci rende egoisti, perchè ci assorbe completamente: soltanto più tardi, sotto forma di ricordo, essa ci insegna la compassione.
Sorrido al pensiero che sovente è così: ci si crede puri finché si disprezza quel che non si desidera.
Ho imparato in seguito a temere quella calma in cui ci si addormenta quando si è sull'orlo di certi eventi. Ci si crede tranquilli, forse perchè qualcosa, a nostra insaputa, si è già deciso in noi.
Credevo di essere diventato ciò che ero veramente, poiché tutti noi ci trasformeremmo se avessimo il coraggio di essere ciò che siamo.
A forza di ripeterci ciò che avremmo dovuto fare, ci pare impossibile non averlo fatto.
Se è difficile vivere è ancora più difficile spiegare la propria vita.
Bisogna confessarlo subito, non sono troppo sicuro di rimpiangere ancora quell'ignoranza che noi chiamiamo pace.
Vi sono momenti nella nostra esistenza nei quali noi siamo, in modo inspiegabile e quasi agghiacciante, ciò che più tardi diventeremo.
Era un piacere; quasi una sofferenza, anche. Tutta la vita ho pensato che piacere e sofferenza sono due sensazioni molto vicine; credo che sia lo stesso per ogni natura un po' riflessiva.
Ci voleva qualcuno per esprimere questo silenzio, per fargli spremere tutto il suo contenuto di tristezza, farlo cantare, per così dire. Non doveva servirsi di parole sempre troppo esatte per essere non crudeli, ma semplicemente di musica, perché la musica non è indiscreta e, quando si lamenta, non dice il perché.
E' terribile che il silenzio possa essere una colpa; è la più grave delle colpe, ma insomma, l'ho commessa. Prima di commetterla verso di te, l'ho commessa verso me stesso. Quando il silenzio si è fissato in una casa, farlo uscire è difficile; più una cosa è importante, più sembra che la si voglia tacere. Lo si direbbe una massa di materia ghiacciata, sempre più dura e compatta; sotto di essa la vita continua, ma non si sente.
Le nostre teorie, Monique, quando non sono la formula dei nostri istinti sono la difesa che noi vi alziamo contro.
Io mi dicevo, ancora più crudamente, che la gioia non ci è dovuta, e che abbiamo torto a lamentarci. Tanto varrebbe, penso, essere ragionevoli: forse la felicità non è altro che un'infelicità sopportata meglio. Mi dicevo questo perché il coraggio consiste nel dar ragione alle cose, quando non ci è possibile cambiarle. Eppure che l'insufficienza stia nella vita o solamente in noi stessi, non è perciò meno grave, né se ne soffre meno per questo.
Amica mia, siamo ben strani. Per la prima volta provavo il piacere perverso di essere differente dagli altri; è difficile non credersi superiori quando si soffre di più, e la visione della gente felice ci dà la nausea della felicità.
Non è difficile nutrire pensieri ammirevoli quando ci sono le stelle. Più difficile è conservarli intatti nella meschinità di ogni giorno; più difficile è essere dinanzi agli altri quel che siamo davanti a Dio.
D'altra parte un sogno amica mia, non è una speranza; ci si contenta; lo si trova persino più dolce quando lo si crede impossibile, perchè allora non si ha l'inquietudine di viverlo un giorno.
Mi piace che il tempo torni ci porti, non che ci trascini.
La vita degli altri sembra sempre più facile perchè non la viviamo
Amica mia, a torto noi crediamo che la vita ci trasformi: essa ci consuma, e in noi consuma quel che vi era di acquisito. Io non ero cambiato; soltanto gli avvenimenti si erano interposti tra me e la mia vita stessa; io ero ciò che ero stato, forse un po' più profondamente di un tempo; perchè via via che crollano una dopo l'altra le illusioni e le credenze noi conosciamo meglio il nostro vero essere. Tanti sforzi e tanta buona volontà si concludevano nel ritrovarmi esattamente com'ero un tempo.
La sofferenza ci rende egoisti, perchè ci assorbe completamente: soltanto più tardi, sotto forma di ricordo, essa ci insegna la compassione.
Sorrido al pensiero che sovente è così: ci si crede puri finché si disprezza quel che non si desidera.
Ho imparato in seguito a temere quella calma in cui ci si addormenta quando si è sull'orlo di certi eventi. Ci si crede tranquilli, forse perchè qualcosa, a nostra insaputa, si è già deciso in noi.
Credevo di essere diventato ciò che ero veramente, poiché tutti noi ci trasformeremmo se avessimo il coraggio di essere ciò che siamo.
A forza di ripeterci ciò che avremmo dovuto fare, ci pare impossibile non averlo fatto.
Se è difficile vivere è ancora più difficile spiegare la propria vita.
Bisogna confessarlo subito, non sono troppo sicuro di rimpiangere ancora quell'ignoranza che noi chiamiamo pace.
Vi sono momenti nella nostra esistenza nei quali noi siamo, in modo inspiegabile e quasi agghiacciante, ciò che più tardi diventeremo.
Era un piacere; quasi una sofferenza, anche. Tutta la vita ho pensato che piacere e sofferenza sono due sensazioni molto vicine; credo che sia lo stesso per ogni natura un po' riflessiva.
Ci voleva qualcuno per esprimere questo silenzio, per fargli spremere tutto il suo contenuto di tristezza, farlo cantare, per così dire. Non doveva servirsi di parole sempre troppo esatte per essere non crudeli, ma semplicemente di musica, perché la musica non è indiscreta e, quando si lamenta, non dice il perché.
E' terribile che il silenzio possa essere una colpa; è la più grave delle colpe, ma insomma, l'ho commessa. Prima di commetterla verso di te, l'ho commessa verso me stesso. Quando il silenzio si è fissato in una casa, farlo uscire è difficile; più una cosa è importante, più sembra che la si voglia tacere. Lo si direbbe una massa di materia ghiacciata, sempre più dura e compatta; sotto di essa la vita continua, ma non si sente.
Le nostre teorie, Monique, quando non sono la formula dei nostri istinti sono la difesa che noi vi alziamo contro.
Io mi dicevo, ancora più crudamente, che la gioia non ci è dovuta, e che abbiamo torto a lamentarci. Tanto varrebbe, penso, essere ragionevoli: forse la felicità non è altro che un'infelicità sopportata meglio. Mi dicevo questo perché il coraggio consiste nel dar ragione alle cose, quando non ci è possibile cambiarle. Eppure che l'insufficienza stia nella vita o solamente in noi stessi, non è perciò meno grave, né se ne soffre meno per questo.